Riccardo Cucciolla e Matteo Salvatore (24)
Un sud narrato e cantato
Bari, Biblioteca Provinciale "De Gemmis", 14 gennaio 1978
Il Sud narrato e cantato dalle voci di Riccardo Cucciolla e Matteo Salvatore
Testi scelti da Emanuela Angiuli e proiezione di fotografie di Paolo Longo
Registrazione di Giovanni Rinaldi
Una serata evento realizzata per chiudere l’importante mostra "Puglia ex voto" in esposizione presso la Biblioteca De Gemmis dal novembre 1977. Forse uno dei primi 'reading' multimediali realizzati in Puglia, in cui musica, immagini, narrazione, e canto si sono fusi in un intreccio artistico, scientifico ed emozionale. Un preziosissimo e inedito documento sonoro, conservato per tre lunghi decenni nell’Archivio Rinaldi e che viene reso pubblico espressamente per l’Archivio Sonoro della Puglia.
Dalla presentazione di Emanuela Angiuli: "Vi presenteremo delle immagini sul tema della festa: la festa religiosa, la festa patronale. Nella prima parte vedrete una serie di mezzi di trasporto e il momento dell’arrivo alla festa. Vedrete poi il momento della processione, vedrete il momento del mercato, vedrete poi il momento della festa, dell’esplosione della gioia – attraverso una tarantella -, vedrete ancora i volti e le situazioni della festa, quelli che noi chiamiamo i protagonisti e vedrete il momento più particolare, che è la richiesta di grazia, che si ricollega al tema del comportamento votivo, del comportamento devozionale. Infine vedrete una serie di immagini che riprendono la situazione di base, cioè il culto alla divinità.
Accanto alle immagini, che sono di Paolo Longo, ascolterete una voce che è quella di Riccardo Cucciolla. (…) abbiamo invitato Cucciolla perché è pugliese, perché è molto vicino alla cultura della sua terra, che continuamente lo tiene legato, non soltanto per motivi affettivi, ma per motivi di profonda adesione alla cultura pugliese. Cucciolla vi leggerà dei brani tratti dalle opere di Ernesto de Martino. de Martino ha ancora molte cose da insegnarci ed è grave il vuoto che esiste intorno a de Martino nella nostra regione. Ascolterete brani tratti dalle opere di Rocco Scotellaro, brani tratti da "Contadini del sud", ascolterete ancora delle pagine di Tommaso Fiore. Fiore conosceva molto profondamente il mondo della cultura rurale della Puglia.
E poi ascolterete le canzoni e le musiche di Matteo Salvatore. Perché Matteo Salvatore? Non perché Matteo Salvatore è venuto qui a fare spettacolo. Matteo Salvatore è venuto qui a raccontare. A raccontare che cosa? La cultura di cui è espressione. Matteo Salvatore non entra nella cultura popolare dall’esterno, lui l’ha vissuta in prima persona e la racconta. Ed è, quello di Matteo Salvatore, il racconto del lungo silenzio della gente del Mezzogiorno".
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Descrizione
Emanuela Angiuli, direttrice della Biblioteca Provinciale De Gemmis di Bari, presenta l'iniziativa quale chiusura e coronamento dell'esposizione della mostra scientifico-documentaria "Puglia Ex voto", aperta al pubblico dalla primavera all'autunno del 1977. Si veda: E. Angiuli (a cura di) "Puglia ex voto, Bari, Biblioteca Provinciale De Gemmis, estate-autunno 1977", Galatina, Congedo, 1977 (catalogo della mostra "Documenti di cultura popolare in Italia meridionale Puglia ex voto").
Passa poi a presentare i protagonisti della serata evento: Paolo Longo (con le fotografie di feste popolari pugliesi), Riccardo Cucciolla (con le letture da autori quali E. de Martino, R. Scotellaro, T. Fiore) e Matteo Salvatore con i suoi canti e racconti. - Durata 12:20
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
- Provincia Bari
- Regione Puglia
- Esecutore Emanuela Angiuli (n. 1942) negli anni ’70 direttrice Biblioteca Provinciale De Gemmis di Bari, attualmente dirigente Servizi e Beni culturali del Comune di Barletta
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
È fatto giorno,
siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe
e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate
e i galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre
al focolare
Rocco Scotellaro, È fatto giorno. 1940-1953, Mondadori, Milano, 1954 (1982). - Durata 00:25
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
È anzitutto evidente che nella misura in cui queste masse premono per entrare nella Storia, nella misura in cui vi entrano di fatto, nella misura in cui cessano di essere masse da padroneggiare, la cultura tradizionale non può più contentarsi di una semplice scienza naturale del mondo popolare e della sua cultura. Queste masse, irrompendo nella storia, portano con sé le loro abitudini culturali, il loro modo di contrapporsi al mondo, la loro ingenua fede millenaristica e il loro mitologismo e persino certi atteggiamenti magici.
Tuttavia per quanto vi siano ragioni che spieghino quel tanto di imbarbarimento culturale che accompagna l’irruzione nella storia del mondo popolare subalterno, e per quanto anzi è opportuno, in sede di azione politica, tenere continuamente conto delle tradizioni culturali del mondo popolare subalterno, utilizzandole almeno in senso progressivo, il compito dell’alta cultura tradizionale resta sempre quello di storicizzare il “popolare” e il “primitivo”. Di usare verso l’arcaico quella pietà storica che concorre alla profilassi contro la perdurante efficacia ideale degli arcaismi e giova alla maturazione del germe vitale della “riforma popolare moderna” e alla formazione di persuasioni collettive laiche. Ancora una volta il motto dell’alta cultura tradizionale deve essere: non flere, non lugere, sed intelligere.Ernesto De Martino, Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, "Società", a. V, 1949, n. 3, pp. 411-435.
- Durata 01:49
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
(...) Mia madre mi cullava, non nella culla, perché la culla non c’era, sulla sedia. Mi dondolava e mi raccontava questa leggenda di San Nicola di Bari, perché ogni paese c’è una leggenda e diceva, per farci addormentare, noi piangevamo, avevamo fame, e sulla sedia ci cullava e diceva “Sogna figlio mio, è l’ora buona, è l’ora ch’è nato San Nicola. San Nicola – dice – ha fatto tante cose. Una volta era piccolino e allora il popolo… è venuta la siccità, la raccolta ha bruciato tutto, il grano non ce n’era, il pane non ce n’era, la popolazione moriva di fame. San Nicola prese lo zatterone e andò dai mercanti dell’Oriente a comprare del grano. Non aveva più soldi. Aveva il diamante al dito, l’ha dato per pegno, ha detto “Ritornerò, datemi il grano, debbo sfamare la popolazione”. E così i mercanti “Va bene, se non ci porti i soldi entro tre giorni veniamo noi a Bari e ci deve dare quei soldi”. San Nicola di notte arrivò a Bari. Fece tante sacchettuole, misure e misurelle, con i nomi scritti, alla famiglia Tizio alla famiglia Caio, secondo quanti erano, due chili a uno cinque chili a un altro. E ha lasciato misure e misurelle per darli a tutti i poverelli. I mercanti… San Nicola non tornò, i mercanti tornarono a Bari e allora domandarono “C’è un certo Nicola, ci deve dare dei soldi”, dice “Ma questo è l’anello di San Nicola”, allora dice “Ma è impossibile”. Andarono alla chiesa, si inginocchiano i mercanti tutti quanti, tutta la popolazione “San Nicola noi ti ringraziamo, quando c’era fame tu ci hai sfamato”.
Segue il canto. - Durata 04:56
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
La lettura presenta un testo che è una variante del più antico racconto contenuto in: Jacopo da Varagine (da Varazze), Legenda aurea. L'autore (1228 ca. - 1298) era vescovo di Genova dal 1292, già priore dell'intera Provincia domenicana di Lombardia dal 1297. Dalla sua Legenda aurea non ci si può dunque aspettare quel tono da "Fioretti" di san Francesco che tradizionalmente le si attribuisce: anzi tutto il suo sforzo sta nel ricondurre a un principio unificante le disparatissime tradizioni di vite di santi secondo un gusto sistematico che è proprio della cultura domenicana. Le vite vengono ricondotte al circolo dell'anno liturgico, per costruire un solo grande monumento di esempi di vita, che si dispongono con naturalezza secondo le partizioni dell'anno.
- Durata 02:17
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
... La strada polverosa. Con le lanterne caratteristiche, queste lanterne fatte coi barattoli dove c’era la conserva dei pomodori pelati. Si facevano dei buchi e facevamo dei fari. E così tutta la popolazione, scalzi, così, partecipavano tutti quanti, su questa strada polverosa davanti alla chiesa di Maria Santissima Incoronata. Davanti c’erano tutte le ragazzine, che noi le chiamavamo le verginelle, così coi capelli sciolti e dietro stavano i giovani e poi venivano… così la processione. La strada polverosa, questo quadro così, che adesso non c’è più, veramente bello, questa unione, niente, c’era una fratellanza meravigliosa. E si andava da Maria Santissima Incoronata e la canzone dice "Maria Santissima Incoronata Vergine Santa noi qui veniamo una volta all’anno. Madonna abbiamo portato le verginelle, le abbiamo portato come dici tu...".
Segue il canto. - Durata 05:05
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Degli spiriti e magia io sento dire e effettivamente io non credo e credo. Io ho avuto un fratello malato, e c’era uno che sapeva fare fatture e sapeva guastarle. Io effettivamente non credevo, ma, per tenere contenta la propria madre, mi toccò andare a trovare questo individuo, lontano, nella marina a Ginosa e a Genzano, a Grassano. Chissà quanti soldi ci ha sciupati senza aver ricavato niente; lo portammo fino all’ospedale pagandogli il viaggio a Napoli, che a me veniva il desiderio di menarlo dal treno perché mio fratello non aveva migliorie. Quello di Grassano diceva che erano gli spiriti, non più fatture e volle un coniglio da mia madre, che glielo portò perché lui diceva che la malattia la doveva levare a mio fratello e metterla in testa al coniglio. A me si imbrogliavano gli intestini in pancia per la rabbia, perché lui si mangiò il coniglio. C’erano tanti conigli di altra gente e io me ne accorgevo; qualcuno gli portava qualche gallo buono e come ingrassavano, secondo me, se li mangiava. Ma però riusciva a qualcheduno la magia, o per volontà di Dio che dovevano stare bene o per opera della fattura. L’essenziale, che quello si mangiava i conigli. Mio fratello morì all’ospedale.
Rocco Scotellaro, Contadini del Sud, Bari, Laterza, 1954. Chi parla è Andrea Di Grazia, nato il 1906, piccolo proprietario, coltivatore diretto di Tricarico (MT). “Tra cinquanta piantoni uno deve essere il migliore” è il titolo del racconto in cui Di Grazia narra la sua storia. - Durata 01:43
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Regione Puglia
- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
"…tutti quanti, e di notte, queste fiaccolate, queste lanterne così, che da lontano è una cosa misteriosa, di notte. Sembrava una cosa, non so come definire. E poi quando ci incontravamo le tre processioni, alla stessa ora, dove si incrociavano le strade, a mezzo chilometro prima di San Lazzaro, alla stessa ora con lo stesso ritmo. Loro cantavano San Lazzaro secondo come l’avevano imparato e io avanti e dicevo… il parroco: “Matteo, guida” e io facevo questa voce guida e le donne e tutti quanti rispondevano, insieme a me. Io andai un anno anche con la febbre, sono andato, perché diceva il parroco “Matteo vieni, perché tu dai questo calore, è così, stai con noi, anche se non ti senti bene”. Ma io sono andato lo stesso, a San Lazzaro, Sande Lazzère, e la chiesa aperta tutta la notte, il piede di San Lazzaro si adora, “si adora il buon Gesù San Lazzaro aiutaci tu. Facci le grazie” e preghiamo. Dopo finisce, verso l’alba, c’è ancora la festa, fino alle dieci alle undici del mattino e poi se ne vanno, a casa."
Segue il canto. - Durata 04:41
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Carte abbaglianti e pozzanghere nere…
hanno pittato la luna
sui nostri muri scalcinati!
I padroni hanno dato da mangiare
quel giorno, si era tutti fratelli,
come nelle feste dei santi
abbiamo avuto il fuoco e la banda.
Ma è finita, è finita, è finita
quest’altra torrida festa
siamo qui soli a gridarci la vita
siamo noi soli nella tempesta.
E se ci affoga la morte
nessuno sarà con noi,
e col morbo e la cattiva sorte
nessuno sarà con noi.
I portoni ce li hanno sbarrati
si sono spalancati i burroni.
Oggi ancora e duemila anni
porteremo gli stessi panni.
Noi siamo rimasti la turba
la turba dei pezzenti,
quelli che strappano ai padroni
le maschere coi denti.
Rocco Scotellaro, È fatto giorno. 1940-1953, Milano, Mondadori, 1954, 1982 - Durata 01:18
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Un giovanotto travestito da venditore ambulante va sotto la finestra della sua bella e con la scusa di vendere fa sentire la voce, così… e allora lui invita “Ehi, le donne, venite comprate, comprate il seme, quelle quell’altre” e così la ragazza dice “Non posso…“ e così va la vecchietta “No ma vai” “E io quanto tempo debbo fare l’ambulante? Ho comprato le sementi, a chi le debbo dare? Qua non le vuole nessuno, nesciune i vol’accattà”. E allora così questo giovanotto si improvvisa da venditore ambulante e comincia a strillare sotto alcune finestre, ma bazzicava sempre sotto la finestra della bella per andare via."
Segue il canto. - Durata 03:19
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
".Una ragazza che deve sposare dice al suo bello “Qui dobbiamo vendere il pesce subito” “Embè subito, e come facciamo, tre quattro cinque giorni di buona pesca”. Avevano fatto ‘na buona pesca, però i poveretti non volevano compra’ e allora invitava le donne “Venite a compra’ – la carta non c’era – mettitele nella vunnella. Noi lo vendiamo a buon mercato. Mettetelo nella gunnella e andatelo a friscere ind’a la patella. Noi vi diamo il buon peso. Il mio fidanzato ha pescato questo pesce… così così. Comprate comprate!” e invita…"
Segue il canto. - Durata 01:57
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Proprio negli anni che seguirono la Liberazione, in occasione della mia attività politica in Puglia come segretario della Federazione socialista di Bari e come commissario di quella di Lecce, mi accadde di incontrarmi con un’umanità che fin allora aveva avuto per me un’esistenza sostanzialmente convenzionale, quale potevano offrirmela la letteratura meridionalistica, la tradizionale storiografia etico-politica, e le assai noiose e frigide scritture folkloristiche. Il primo incontro fra la civiltà occidentale e i “primitivi” dell’ecumene si compì attraverso i conquistatori, i commercianti, i missionari, i funzionari coloniali: e non sostanzialmente diverso fu l’incontro fra lo Stato italiano e l’etnos del Mezzogiorno e delle isole, il dolorante mondo dei suoi contadini e dei suoi pastori. Ma io entravo nelle case dei contadini pugliesi come un “compagno”, come un cercatore di uomini e di umane e dimenticate istorie, che al tempo stesso spia e controlla la sua propria umanità, e che vuol rendersi partecipe, insieme agli uomini incontrati, della fondazione di un mondo migliore, in cui migliori saremmo diventati tutti, io che cercavano e loro che trovavo. L’esser fra di noi “compagni”, cioè l’incontrarci per tentare di essere insieme in una stessa storia, costituiva una condizione del tutto nuova rispetto al fine della ricerca etnologica, cioè al fine di rammemorare anche quella loro storia passata che non poteva in modo immediato essere attuale e comune, e che, in ogni caso, era da ricacciare lontano e da sopprimere.
Ernesto De Martino, Gramsci e il folklore, in “Il Calendario del Popolo”, a. VIII, n. 91 (1952) p. 1109 - Durata 01:56
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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"...lu furastiere, non viene dall’estero, no, ma viene da vicino, dai paesi del Gargano, scendono, quando c’è la mietitura, la trebbiatura, all’ajr’, con le falci e allora c’è da lavorare per tutti. Però è il momento che noi lavoriamo un mese, e aspettiamo questo mese, così ci conserviamo quei pochi spiccioli per poter sopravvivere durante l’inverno. Ed ecco che arrivano centinaia e centinaia di forestieri, dalle montagne del Gargano, e sulla piazza del paese, grande, lì ci vendevamo e ci compravano. Però questi forestieri andavano a metà prezzo. Noi stavamo distaccati da loro, non li odiavamo. E poi dopo riflettiamo, diciamo “Perché? Anche loro hanno dei figli, anche loro sono come… anzi loro lavorano molto meno di noi”. E così tra forestieri e noi si formava tutta una famiglia. Il padrone approfittava di questa situazione, di questa concorrenza spietata. Però noi nella nostra miseria, nella nostra ignoranza ci ‘bbracciavamo tutti quanti. E andavamo a dormire, andavamo in campagna, a lavorare, a rimanere un mese senza andare a casa. E alla sera, quand’era fatto notte, dopo una giornata estenuante di lavoro, stavamo tutti sdraiati per terra, stesi per terra, alla frescura, sull’aia. Eravamo sei settecento, tra forestieri e noi. Il padrone stava sulla finestrella, guardava, questo panorama, e diceva “Questi uomini dovrebbero campare due secoli, sono bravi”. Noi stavamo a dormire sull’aia, alla frescura, aspettando delle prime luci dell’alba per potere riprendere il lavoro. Chi faceva prima a prendere un telone, dove si trasporta la paglia, che noi dialettale diciamo “la racanella”, si copriva. Chi faceva prima a prendere una sacchetta dove mangia… dove c’è la biada che mangia il cavallo, ci faceva da cuscino. Ma quanti teloni ci volevano… e così tutti noi lì dormivamo."
Segue il canto. - Durata 04:49
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Quando scendevo per le viuzze sconnesse del quartiere uomini e donne uscivano dalle loro tane immonde e mi pregavano di dire, di raccomandare, di rendere pubblica la storia dei loro patimenti e della loro fermentante ribellione. Altre volte, quando mi accadeva di partecipare alla loro vita migliore, alla fraterna giocondità dei conviti contadini, ravvivata e ingentilita da quella vena di poesia che assai spesso vi fiorisce in versi improvvisati, qualcuno mi diceva con orgoglio, vedendomi partecipare e a mio agio, “dite, raccontate che noi cafoni non siamo, non siamo poi delle bestie, che quaggiù non c’è soltanto miseria”. Essi vogliono entrare nella storia, non soltanto nel senso di impadronirsi dello Stato e diventare i protagonisti della civiltà, ma anche nel senso che fin da oggi, fin dal presente stato d’indigenza, le loro storie personali cessino di consumarsi privatamente nel grande sfacelo del quartiere rabatato e di affogare senza orizzonte di memoria nel fango o nello sterco delle sue sordide giornate. Essi vogliono che queste giornate senza luce, vissute in tane immonde che stanno di mezzo fra la tomba, la grotta e la stalla, siano notificate al mondo, acquistino carattere pubblico mediante il giornale, la radio, il libro, e formino così tradizione e storia. Essi vogliono che quel loro cercarsi in questo mondo di tenebre tenendosi le mani e chiamandosi “frate, frate”, si costituisca in immagine altrettanto storica come gli affreschi della cappella Sistina o la cupola di Michelangelo. Ma essi vogliono anche che giunga al mondo la eco dei loro sforzi per emanciparsi, e dal fondo delle loro spelonche, deformi nei corpi logorati dall’umido, dalle tenebre e dalla fame, coperti di fango e di sterco, essi gettano sul viso di coloro che iniquamente li tengono in catene il verso di sfida “Nuie simme ‘a mamma d’a bellezza”, noi siamo la giovinezza del mondo.
Note lucane, “Società”, a. VI, 1950, n. 4, pp. 650-667 - Durata 02:23
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Due innamorati soffrono, sono ossessionati dalle comari, dai vicini di casa. Allora decidono di andar via, di scappare, però per non compromettere… gli innamorati dicono no. La ragazza incontra l’innamorato di nascosto e le dà un bacio. Dice “Vieni bene mio, vai da tua madre, non tardare, se no ti dà le botte. Corri a mamma tua. Sei il mio amore, vai da tua madre, non fai tardi” e lei dice “Mamma non vuole. Noi fuggiamo, facciamo la fuga. Ce ne andiamo prendiamo l’appuntamento”, “Va bene, dammi un bacio, vai, bene mio, vai da mamma tua”.
Segue il canto. - Durata 02:12
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Miracoli la Madonna, per me, non ne ha fatti, ma c’è tanta gente che dà i soldi, sempre pensano: “Madonna mia fammi questo che io ti do tanto” e appendono orecchini e anelli e monete alla statua.
Io, per detto e sentito dagli altri, ci credo che ci sarà qualche essere, perché io dico così: se noi non ci siamo sulla terra, se io non ci sono, possono fare la fotografia? Se noi non esistiamo, la fotografia non la possono fare. E dei santi e della Madonna e di Cristo ci sono tante fotografie e pitture e statue nelle chiese e nelle case. Ma si capisce che, se vedi tanti San Rocco, non sono tutti di una maniera: è come noi quando andiamo a zappare e a potare, così sono i fotografi. Mi dici che ci sono pure le Madonne nere come i negri: questo è un guaio imbarazzante, forse si sarà cotta al sole. È perché così sono loro, i negri, e così fanno la Madonna, e fanno credere che è nata là. Ognuno cerca, anche di cuore, di aiutarsi verso i santi, forse è per questo, ma alla fine si trova sempre allo stesso punto.
Rocco Scotellaro, Contadini del Sud, Laterza, Bari 1954. Chi parla è Antonio Laurenzana, nato il 1909, fittuario e coltivatore diretto di Tricarico (MT), protagonista del racconto “Il contadino che si sposa per la terza volta”. - Durata 01:36
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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"... San Luca si trova… là avevano fatto una piccola nicchia così, sulla montagna dell’Ingarano (San Nicandro Garganico), una montagna piena di spine. E allora c’è una donna, una ragazza. Aveva passato vent’anni, ma dato che a vent’anni se non si maritava, non si maritava più, era la scapolona del paese. Perché a quattordici, quindici anni avevano già marito. Ora, si disperava, diceva “Mamma, perché? Io vorrei almeno un vedovo, arrangiami qualche vedovo, come debbo fare?“ Allora a un certo momento la mamma si disperava, dice “Dobbiamo andare da San Luca, dobbiamo andare…”.
E così salgono la montagna, ma solo che c’era un problema, perché San Luca aveva dieci grazie all’anno prestabilite, non ne faceva più, no, non ne faceva più e il bello era che… la mamma dice “No me ne devi fare un’altra”. Ma purtroppo lui prestabilite dieci grazie e… però si sente la voce di San Luca che dice “Senti – non so se da una nicchia – Senti buona donna. Va bene sua figlia troverà marito, però deve scendere tutta la montagna, a piedi nudi, si deve puncicare, deve sanguinare e tu, mamma, deve bastonarla con le catene, tutto il percorso. E allora troverà marito, però no quest’anno, si deve prenotare per la prossima prenotazione...".
Segue il canto. - Durata 03:24
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Se ti viene per caso qualche vecchio intelligente e sentenzioso, ti farà, per ottenere qualcosa, l’indovino, il profeta, il consigliere, il novellatore, il poeta, se pure non si spingerà nelle pratiche più difficili della divinazione del futuro. Sempre ti dirà di guardarti dal prossimo di Dio, e che chi ti ha voluto bene ti andrà in faccia al naso, e questo significa che non bisogna partecipare alla vita politica, non scrivere, non parlare, perché da noi quelli che vi partecipano rovinano sempre sé e le loro famiglie, gli onesti, s’intende; sempre sentenzierà che il mondo oggi è un mondo… chi serpente, chi leone, chi tigre… volpi no; son troppo miti bestiole, pel nostro contadino, per entrare nel ceto civile. Fa poi da indovino alle ragazze di casa dei segreti del loro cuore e cerca di allietarle e interpreta anche i sogni e dà notizia dei morti, e che ha sognato la mamma vestita di velluto tutto infiorato, segno di gloria, che gli portava un regalo di uva nera, segno di lutto, che però io non mangiavo, segno che non ci sarà un altro morto, ma era molto triste e cioè vuole suffragi per la sua anima; e le donne lagrimano mentre quegli suggerisce i numeri pel lotto. Mescolerà anche oscure storie di diavoli coi cavalli di bronzo, dell’uomo dalla barba bianca, di Luciferre e dell’anticristo, figlio della monaca e del monaco segreto, dei sett’anni di buona annata, della fine del mondo, quando la terra sarà bruciata sette palmi, e che Iddio ha creato il povero e il ricco, ed il povero deve campare di sotto al ricco. (...)
Tommaso Fiore, Un popolo di formiche, Laterza, Bari 1951. Il brano è tratto dalla Lettera II a Piero Gobetti. - Durata 03:46
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
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- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
"Arrucunète. Ero adolescente, stavamo su una piazza del paese, infreddolito, scalzo, strappato, erano tempi brutti. Non si poteva guadagnare nemmeno quattro chili di pane, cinque chili di pane. Noi giocavamo, ingannavamo il tempo, in attesa che a casa trovavamo qualcosa da mangiare, la sera. E stavamo accovacciati, accoccolati vicino ai muri, riparati dal vento gelido in attesa che usciva un lembo di sole, per giocare. Dietro di noi… diciamo, sì… sappiamo, la vita è troppo amara, sappiamo chi sta bene e chi sta male. Ma che ci vogliamo fare? Quando fa freddo il sole noi vogliamo, tremiamo e guardiamo nel cielo, arrucunète, accovacciati, giochiamo giochiamo amici."
Segue il canto. - Durata 04:39
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
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- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
D'altra parte proprio perché mai come oggi le coscienze sono percosse dal cattivo passato individuale e collettivo, e proprio perché gli animi sono travagliati dalla ricerca di simboli operativi adeguati al nostro umanesimo e al nostro senso della storia – non senza pericolose tentazioni di tornare ai dèmoni e agli dèi –, il tarantismo non ci è indifferente, e quasi ci costringe a misurare con lui le insidiate potenze della nostra modernità. In questo senso se la Terra del rimorso è la Puglia in quanto patria elettiva del tarantismo, i pellegrini che la visitarono nell’estate del ’59 provenivano da una più vasta terra cui in fondo spetta lo stesso nome, una terra estesa sino ai confini del mondo abitato dagli uomini, e forse oltre, verso gli spazi che gli uomini si apprestano a conquistare: una terra tuttavia che è bella, perché la vita è bella, almeno nella misura in cui, secondo il destino umano, è soccorsa dalla vigile memoria del passato e dalla prospettiva dell’avvenire. Una terra, infine, che anche in questo, ricorda la siticulosa Apulia, dagli ampi orizzonti segnati dalla polvere delle transumanze, ma che al termine del viaggio si apriva alla improvvisa fioritura degli orti di Taranto e al dolce Caleso, ombreggiato di pini e bianco per le greggi che vi si specchiavano.
Ernesto De Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore, Milano 1961, p. 273.
- Durata 01:45
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
- Provincia Bari
- Regione Puglia
- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Ho perduto la schiavitù contadina,
non mi farò più un bicchiere contento,
ho perduto la mia libertà.
Città del lungo esilio
di silenzio in un punto bianco dei boati,
devo contare il mio tempo
con le corse dei tram,
devo disfare i miei bagagli chiusi,
regolare il mio pianto, il mio sorriso.
Addio, come addio? distese ginestre,
spalle larghe dei boschi
che rompete la faccia azzurra del cielo,
querce e cerri affratellati nel vento,
pecore attorno al pastore che dorme,
terra gialla e rapata
che sei la donna che ha partorito,
e i fratelli miei e le case dove stanno
e i sentieri dove vanno come rondini
e le donne e mamma mia,
addio, come posso dirvi addio?
Ho perduto la mia libertà:
nella fiera di luglio, calda che l'aria
non faceva passare appena le parole,
due mercanti mi hanno comprato,
uno trasse le lire e l'altro mi visitò.
Ho perduto la schiavitù contadina
dei cieli carichi, delle querce,
della terra gialla e rapata.
La città mi apparve la notte
dopo tutto un giorno
che il treno aveva singhiozzato,
e non c'era la nostra luna,
e non c'era la tavola nera della notte
e i monti s'erano persi lungo la strada.
Rocco Scotellaro, È fatto giorno. 1940-1953, Milano, Mondadori, 1954, 1982 - Durata 02:04
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
- Provincia Bari
- Regione Puglia
- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
La valigia, la cordella, la valigia cordellata, la strada polverosa, l’amico che se ne va. Dove? Va lontano, a guadagnare. Se ne va. Questo amico che piano piano ci saluta e noi sul muretto lo salutiamo.
Paese mio
Te lasce cu lu chiante all’occhj
Mentre m’allontano sulla strade polverose
Se sente ancora la voce della campana grande
Stiteve bbone gente dellu paese mie, stive bbone
E qualche volta… parlate di me...."
Segue il canto - Durata 03:30
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
- Provincia Bari
- Regione Puglia
- Esecutore Matteo Salvatore (Apricena, 16 giugno 1925 – Foggia, 27 agosto 2005)
- Autore Giovanni Rinaldi
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Descrizione
Una volta, mi si consenta questo ricordo personale, mentre ero in visita ad Altamura, come segretario della Federazione socialista, nella piazza dove da secoli si consuma l’attesa dei contadini poveri, un vecchio saggio mi prese furtivamente per mano e mi portò nel segreto di un antrone, come se dovesse comunicarmi qualche verità ineffabile. Qui, nel basso antrone oscuro del vecchio palazzo padronale, il vecchio cominciò a recitare una lunga filastrocca in cui riecheggiava la sofferenza secolare dei braccianti pugliesi e l’amara saggezza cresciuta su quella sofferenza. Poi concluse con parole che dicevano pressappoco: “Vai avanti tu che sai, tu che puoi, tu che vedrai; non ci abbandonare, tu che sai, tu che puoi, tu che vedrai!”.
Ernesto De Martino, Intorno a una storia del mondo popolare subalterno, “Società”, a. V, 1949, n. 3, pp. 411-435. - Durata 01:11
- Data Sabato, 14 Gennaio 1978
- Luogo Bari
- Provincia Bari
- Regione Puglia
- Esecutore Riccardo Cucciolla (Bari, 5 settembre 1924 – Roma, 17 settembre 1999)
- Autore Giovanni Rinaldi