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Archivio Sonoro

"Frunni d'alia" è considerato il canto narrativo lucano per eccellenza. Durante la campagna di ricerca del 1952 ne sono stati documentati alcuni frammenti; è stato però il lavoro di Giovanni Battista Bronzini (La canzone epico-lirica nell’Italia centro-meridionale, vol. I 1956, vol. II 1963) a dimostrarne la peculiarità in territorio lucano: questi riteneva, infatti, che la Basilicata potesse essere considerata “per numero e qualità dei testi, il centro d’origine, o almeno, di irradiazione del canto di ‘Verde Oliva e Conte Maggio’”. Lo studioso dopo aver descritto gli elementi rituali e narrativi che compaiono nel canto sottolinea come in territorio lucano, la rappresentazione agreste del ciclo di Carnevale o di Maggio, espressa dal canto, trovasse una corrispondenza nell'essere eseguita sia al suono della cupa-cupa durante il carnevale dalle compagnie che giravano questuando per le case, sia durante i lavori di campagna “nell'una e nell'altra occasione, in talune località, i contadini che la cantano o la recitano, spesso a più voci, danno vita ai vari personaggi, creando un'embrionale azione drammatica”.

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Pietro Costantino Sassu è’ stato uno degli etnomusicologi meno noti ma più importanti per lo sviluppo e l’affermazione di questa disciplina in Italia nella seconda metà del Novecento. Musicalmente molto preparato, ha svolto un'incessante attività di ricerca sul campo che lo ha portato quasi ovunque in Italia.
Nasce a Sassari nel 1939. La sua formazione musicale passa attraverso il Conservatorio di Santa Cecilia, gli studi di composizione a Parma e di Paleografia musicale a Cremona.
Compositore, critico musicale, docente, prima al Conservatorio – Sassari e Bologna – poi all’università - Udine e Basilicata – deve la sua formazione etnomusicologica agli incontri con Diego Carpitella e con l’antropologo sardo Gavino Musio.
Attivo già alla fine degli anni Cinquanta ha svolto le sue più importanti ricerche, oltre che nella sua amata Sardegna, in Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli, Emilia Romagna e Basilicata. Memorabili le collaborazioni con altri studiosi, fra tutti Piero Arcangeli e Roberto Leydi. 
Innumerevoli le pubblicazioni, le partecipazioni a convegni, le iniziative ideate ed organiz-zate, le campagne di rilevamento e studio a cui ha partecipato, Pietro Sassu verrà probabilmente ricordato fra i musicologi e gli antropologi come quello che meglio, più spesso e più efficacemente, sapeva “sporcarsi le mani” sul campo, fra la gente, con o senza un registratore ma con quella attenzione ed intelligenza che sapeva trasformare un contatto in una imperdibile occasione di insegnamento. Pietro Sassu non perdeva mai l’occasione di imparare e, forse proprio in questa maniera, è stato un grande insegnante per tutti i suoi allievi, universitari e non. 
Muore a Sassari il primo luglio 2001 lasciando in sospeso alcuni importanti progetti di studio e nuove iniziative come il “Museo sonoro” di Torralba e il “Corpus” della musica sarda. 
Nel 2007 si è costituita l’associazione Archivi Sassu per salvaguardare, promuovere e continuare la sua attività di studio e di ricerca.

MIchele GandinNato a Bagnaia nel 1914, Michele Gandin è stato giornalista, cineasta e fotografo, assistente regista di Vittorio De Sica a partire dal 1941, fino al 1973 impegnato in un’intensa attività di documentarista.
Compagno di vita e di ricerca di Annabella Rossi nell’indagine visiva sugli aspetti cerimoniali della tradizione popolare, con attenzione particolare agli ambienti disagiati delle alterità sociali e culturali, come testimoniano le fotografie di realizzate negli anni ’50 e ’60 nel Lazio e nell’Italia meridionale (Gente di Trastevere 1961, Processioni in Sicilia 1965, Terremoto in Sicilia 1968), relative a contesti urbani, infanzia, vita contadina, feste e spettacoli popolari, Gandin affronta con tensione poetica e politica i temi sociali dell’indagine antropologica, denunciando le responsabilità istituzionali del degrado di realtà subalterne, nel ritratto di Guido Aristarco, con "una grande capacità di sdegnarsi". È il caso del cortometraggio Gli esclusi, girato nell’ospedale psichiatrico di Nocera Inferiore nel 1956, che diventerà strumento di lotta per i movimenti impegnati nella chiusura dei nosocomi, o di Non basta soltanto l’alfabeto (1959), realizzato con l’intervento dell’Unione nazionale per la lotta contro l’analfabetismo, come pure Cristo non si è fermato a Eboli (1952), vincitore del Gran Premio per il miglior film documentario alla IV Mostra internazionale del Film Documentario e del cortometraggio di Venezia col merito di aver evidenziato le profonde contraddizioni del meridione italiano indagando la piaga dell’analfabetismo a Salvia, paese lucano in cui: "l’alfabeto porta l’acqua nelle case e una corriera nella piazza del paese, porta nuovi sogni e nuovi luoghi da attraversare con la fantasia". Gli intervistati rispondono con le loro voci, senza doppiaggio, e la fotografia si impone come mezzo privilegiato dell’analisi della realtà con inquadrature lunghe e fisse che definiscono nell’assenza del movimento la staticità dei volti, degli sguardi e dei gesti scolpiti in un tempo colpevolmente sottratto dalla storia.
Negli stessi luoghi Gandin torna due anni dopo, nel 1954, a girare a Pisticci il cortometraggio Lamento funebre, e di nuovo, nel 1954 a Tricarico, a documentare il primo anniversario della morte di Rocco Scotellaro. 
E' morto il 6 settembre 1994.

lino del fraAssistente di Filosofia Morale e Pedagogia all’Università di Roma per cinque anni è segretario nazionale della FICC (1952-54) e critico cinematografico su "Cinema Nuovo", "Bianco e Nero", "Avanti!" e "Mondo Nuovo", nonché membro del consiglio direttivo dell’ANAC.
Documentarista dal 1960, realizza cortometraggi di notevole interesse che in molti casi ottengono riconoscimenti importanti, come il Leone di San Marco alla Mostra di Venezia per Fata Morgana, definito dallo storico Jean Rouch sconvolgente; l’Osella di bronzo per Lettera dal Friuli e premi prestigiosi per Spettacolo di gala e Come favolosi fuochi d’artificio. Fra i suoi documentari a lungometraggio è rimasto celebre All’armi, siam fascisti!, diretto col critico Lino Miccichè e la moglie Cecilia Mangini (sua abituale collaboratrice). Notevole è anche Stalin, non riconosciuto dall’autore perché letteralmente "massacrato" in fase di montaggio dal produttore e che poi esce con altro titolo e firma.
Fra i suoi film a soggetto si ricorda La torta in cielo, una favola destinata ai giovani che è anche una lucida requisitoria contro il capitalismo e l’autoritarismo. Molto interessante anche il suo Antonio Gramsci, cronaca di un’atroce sofferenza, e Comizi d’amore ’80, ideale seguito, vent’anni dopo, della famosa inchiesta di Pier Paolo Pasolini.
L'intera sua produzione in realtà si muove costantemente su "due fronti: la ricerca di natura antropologica e sociale, nel residuale mondo contadino, e un'acuta comprensione del presente nella cruciale fase dell'urbanizzazione e industrializzazione di massa" (M. Grasso, Scoprire l'Italia. Inchieste e documentari degli anni Cinquanta, 2007, p. 113). Alla prima fase appartengono i due documentari del fondo, La passione del grano, del 1960, con testo di Ernesto De Martino, e, dello stesso anno, L'inceppata, girato autonomamente ma poi discusso, in sede di montaggio, con lo stesso De Martino.

 

"Aurora Milillo, una preparatissima demo-antropologa, morta purtroppo prematuramente, la cui famiglia era originaria di Matera. A partire dalla seconda metà degli anni ‘6o Aurora aveva avviato, inizialmente nella sua regione natale, estendendo poi la ricerca anche ad altre località del Meridione, un’intensa campagna di registrazioni audio di fiabe, leggende di santi e storie di vita, venendo a creare così un corpus di documenti orali che a tutt’oggi rappresenta una fonte indispensabile per la conoscenza in generale della “cultura immateriale” lucana e, in particolare, delle fiabe di tradizione orale diffuse in tutto il sud d’Italia.
Io ebbi modo di conoscerla di persona e di frequentarla per un certo periodo, pochi anni prima che morisse. Mi disse di essere stata allieva dell’etnologo Diego Carpitella, che fu stretto collaboratore di Ernesto de Martino, di avere tenuto a Roma un seminario pluriennale sulla fiaba presso l’Università la Sapienza, nel quale era riuscita a trasmettere il suo contagioso entusiasmo e le sue approfondite conoscenze scientifiche in questo campo di studi ad alcuni giovani allievi, tra i quali vi erano il grossetano Roberto Ferretti, un promettente folklorista purtroppo anch’egli scomparso prematuramente, e il fabul-attore Ascanio Celestini, che in seguito riuscirà a suscitare tra il grande pubblico, anche al di fuori della cerchia degli “addetti ai lavori” e del mondo accademico, l’interesse per la narrazione orale. Quando la conobbi, Aurora stava collaborando con la direzione del Museo Nazionale delle Tradizioni Popolari di Roma, e fu proprio lì, nelle sale di questo grande Museo allestito nel quartiere romano dell’EUR, che l’incontrai più volte per scambiarci, in varie occasioni, riflessioni e pareri intorno ai legami tra le fiabe popolari e le autobiografie orali di quelle che a quel tempo (sul finire degli degli anni ’70) gramscianamente eravamo soliti definire “classi subalterne”. Oltre allo splendido ricordo umano lasciato dalla sua persona in chi ha avuto, come nel mio caso, il privilegio di poter conversare a tu per tu con lei, il lascito in ambito culturale di Aurora Milillo consiste in un paio di importanti volumi dedicati alla fiaba e al racconto orale (Narrativa di tradizione orale: studi e ricerche, Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari, 1977, e La fiaba e il suo racconto: tra favola e memoria storica,  Casa del libro editrice, 1983) Lascia inoltre una ricca nastroteca di registrazioni audio effettuate sul campo, nella quale sono raccolte centinaia di fiabe, leggende, storie di vita narrate dalla gente umile della sua terra" (Da un’intervista a Giancorrado Barozzi in http://www.federicoberti.it/giancorrado-barozzi-fiabe-mezzogiorno/).