Pezzi di cultura locale italiana saranno custoditi e studiati in Svizzera. All' apparenza sembra un paradosso ma è quanto è successo. Si tratta di 649 strumenti di musica popolare, 1.045 nastri con oltre 3 mila inchieste sulla cultura folclorica, 10 mila dischi e cd, 6 mila volumi: da pochi giorni questo imponente patrimonio, uno dei più importanti a livello europeo nell' area della cultura popolare, è andato ad arricchire i fondi del Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona. Lo ha deciso chi lo aveva pazientemente raccolto nel corso di anni di lavoro e di una feconda esistenza di ricerche e di studi dedicati all' etnomusicologia: l' italiano Roberto Leydi. Con una scelta che sta già facendo discutere, lo studioso ha infatti deciso di donare il suo intero archivio, finora custodito nelle sue case di Orta e di Milano, al Dipartimento dell' educazione, della cultura e dello sport del Canton Ticino. Leydi è lo studioso che con maggior forza ha contribuito a rinnovare il panorama dell' etnomusicologia italiana. A partire dagli anni Cinquanta ha svolto infatti una capillare ricerca intorno alla musica, al canto e alle usanze popolari sul territorio nazionale. Non solo: lo studioso piemontese (è nato a Ivrea) ma che da tempo lavora a Milano, ha raccolto testimonianze anche in Grecia, in Francia, in Spagna, in Scozia e in Nord Africa, accompagnando questo lavoro con la promozione di tutta una serie di iniziative editoriali e discografiche. La sua collezione è ora in fase di sistemazione nel Centro ticinese diretto dal Franco Lurà, che da anni lavora al grande progetto del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana e che coordina i dieci musei regionali del Ticino. Nella prima fase, il Centro ticinese provvederà alla catalogazione di tutto il materiale, in seguito procederà al riversamento delle incisioni su supporto digitale in modo da garantirne la conservazione nel tempo. Nel laboratorio di restauro si stanno passando in rassegna i preziosi strumenti, che sono per oltre la metà italiani. Stravaganti e curiose, le forme di questi oggetti ci riportano a tradizioni spesso dimenticate. Si va dagli idiofoni, che riuniscono 115 varietà di campanacci, scacciapensieri, castagnette, raganelle, crotali, triangoli e sonagliere, ai membranofoni, una sessantina tra tamburi a frizione e a percussione. Ci sono 38 cordofoni, quali liuti, chitarre, lire, banjo, ghironde e arpe, e 438 aerofoni, come flauti, ocarine, fischietti, organetti, zampogne, fisarmoniche e richiami da caccia. Insomma, secoli di espressione musicale popolare raccolti da Leydi e affidati ad un istituto che ha dato le giuste garanzie, ossia la volontà di restaurare, custodire e studiare questo materiale. Ma se rassicura gli studiosi, la sistemazione svizzera apre però gravi interrogativi sulla fuga dal nostro Paese di fondi e patrimoni, che, a torto o a ragione, si ritiene possano essere meglio valorizzati all' estero. Tanto più che Leydi ha insegnato all' università di Bologna ed è stato promotore dell' ufficio per la cultura popolare della Regione Lombardia, dove ha pubblicato i fondamentali volumi della serie Mondo popolare in Lombardia, una sintesi esemplare del folclore della regione. Per il Centro ticinese il nuovo acquisto segna un brillante risultato, che peraltro consolida il rapporto tra le due «Lombardie», di qua e di là dal confine. Per le amministrazioni pubbliche e le università italiane rappresenta invece l' ultimo episodio di un fenomeno allarmante sul quale appare urgente interrogarsi.
(Corriere della Sera, 23 novembre 2002, pag. 55)